tutti per uno di Roman Goupil


Francia, 2010

90 minuti

“Era il 2008, non mi ricordo più chi fosse il presidente… ”: è attraverso i toni leggiadri di una fiaba ironica e soffusa di malinconia, giunta da un immaginario e più decente futuro, che l’agguerritissimo Romain Goupil, antisarkozista convinto, dice la sua sugli effetti della politica di rimpatrio forzato dei clandestini attuata in Francia dal 2007, dove può accadere di veder scomparire da un giorno all’altro i propri compagni di classe, perché figli di immigrati non regolarizzati, e dove si può immaginare che un gruppo di ragazzini, stanco di subire regole incomprensibili, decida di inventarsi un altro mondo, nascosto e inaccessibile agli adulti, in cui vivere e comunicare secondo altre formule e segnali, magari con suonerie per cellulari che solo i bambini possono sentire. Nonostante affidi alla sorella della prémière dame in persona il compito di dare corpo e voce a un sentimento diffuso di rabbia e impotenza, Goupil si mantiene per (quasi) tutto il film miracolosamente libero dal timore di annacquare il messaggio politico nel racconto di formazione, e dà il meglio proprio nei momenti in cui si perde completamente tra i volti e i gesti dei suoi acerbi, sorprendenti protagonisti. La vicenda di Milana, giovanissima clandestina attorno a cui si stringe una solida combriccola di compagni di giochi, è raccontata ad altezza di bambino, con un’adesione totale al cuore di ogni singolo carattere. L’assunzione di un punto di vista pre-ideologico permette al film di evocare tutto un immaginario infantile fatto di pomeriggi spesi a scambiarsi compiti di scuola, di nascondigli in cui trafficare caramelle e dvd, di complicità, paure e turbamenti amorosi, di legami che superano in forza e significato persino quelli di sangue. Un microcosmo che ha ridotto ogni rapporto con l’universo frammentato e convulso degli adulti a un filo sottilissimo che solo l’empatia di una madre controcorrente (interpretata con sensibilità da Valeria Bruni Tedeschi) permette di non spezzare del tutto. Nel dar voce agli scontri tra i grandi, spiazzati da un’impresa che li obbliga a guardare con altri occhi le loro stesse vite, Goupil cede ad alcune velleità di denuncia (specie nella rappresentazione delle forze di polizia, che avrebbe potuto essere meno stereotipata) senza le quali il film poteva dirsi perfettamente riuscito. Ma a prevalere è la spontaneità con cui il regista lascia vivere liberamente i suoi protagonisti bambini, sfiorati con pochissimi movimenti di macchina e una grazia che non lascia indifferenti, ed è capace di restituirne alcune istantanee di disarmante semplicità e bellezza (in www.sentieriselvaggi.it).
A volte c’è bisogno della giusta distanza per poter riflettere e giudicare. E così per parlare con quel distacco e quella lucidità che su certi temi come l’immigrazione oggi paiono impossibili, il regista Romain Goupil in Tutti per uno usa proprio questo stratagemma. Per affrontare il tema delicato dei sans-papiers, gli immigrati irregolari, ambienta il prologo e il finale del film nel futuro, in una Parigi proiettata nel 2067. Come dire che forse cinquant’anni possono essere sufficienti a tirarsi fuori dalle odierne dispute ideologiche e politiche — e dunque strumentali — sugli stranieri, per poterle considerare come si converrebbe a una società civile, in un mondo sempre più globalizzato e multietnico. «Eravamo in Francia, nel 2008-2009, non mi ricordo più chi era presidente» racconta una donna ormai avanti con l’età. E le immagini tornano indietro, ai nostri giorni, per narrare, con delicatezza, rispetto e con un tocco di amaro umorismo, una storia che ha come protagonisti alcuni alunni di una scuola elementare frequentata da bambini di ogni colore e provenienza, uniti da grande amicizia e complicità. Quando uno di loro, Youssef, viene rimpatriato perché i genitori non hanno il permesso di soggiorno, lo stesso destino sembra attendere anche Milana, una bimba cecena (l’anziana donna del prologo). Ma i suoi compagni, che vedono minacciato l’intero gruppo, decidono di mettere in atto un clamoroso piano per impedire che ciò accada. Ed è proprio la scelta di osservare i fatti attraverso lo sguardo pulito e disincantato dei bambini — capaci di scoprire il valore delle differenze — a smontare stereotipi e demagogia attorno al tema immigrazione. Sono loro a offrire una lezione esemplare di accoglienza, di solidarietà. Il loro agire non ha secondi fini se non quello di dimostrare amicizia vera a una loro compagna minacciata da un pericolo ai loro occhi inspiegabile oltre che insensato.
La maggior parte degli adulti nel film sono brave persone, ma finiscono quasi sempre per essere dalla parte del torto, vittime dei pregiudizi, incapaci di un giudizio libero, immune da contaminazioni esterne.

[…] Così quella proposta da Goupil — attraverso la naturalezza dell’infanzia contrapposta alla spesso deleteria complessità degli adulti — è una sorta di parabola attuale, toccante e divertente, senza retorica, che spinge a riflettere su un tema rilevante e delicato sotto molti aspetti. In tal senso Tutti per uno (titolo poco originale ma certamente meno polemico del francese Les mains en l’air) è un film impegnato, che mette in guardia dai pericoli di una società ottusamente chiusa in se stessa. Ma anche dalla disillusione dei «grandi», incapaci di offrire risposte adeguate, di compiere gesti aperti al futuro. E allora il mondo viene salvato dai bambini. Almeno al cinema.
(©L’Osservatore Romano – 17 giugno  2011)