Green Book di Peter Farrelly

USA, 2018
130 min.

Tony, italoamericano che lavora come buttafuori in un locale notturno di New York, viene assunto temporaneamente come autista (e guardia del corpo) da Don, colto e apprezzato pianista di origini afroamericane, in procinto di partire per un tour nel Sud degli Stati Uniti. Siamo negli anni ’60 del secolo scorso, ed esiste ancora la segregazione razziale.
L’apartheid, cioè la distinzione di valore tra persone a partire dalle presunte razze di appartenenza, sembrava, fino a qualche tempo fa, ricordo di un passato remoto, lontano anni luce, almeno nelle democrazie occidentali. Invece, ancora una volta, i ricorsi della storia, attraverso le notizie di cronaca, ci insegnano che non bisogna mai abbassare la guardia, quando si tratta di tutelare e garantire i diritti umani.
La nostra Costituzione, in quel baluardo rappresentato dall’articolo 3, ci ricorda che siamo tutti diversi (nessuno è identico ad un altro), ma che abbiamo gli stessi diritti (e doveri), perché siamo tutti importanti, in egual misura. Ci accomuna la dignità di esseri umani, nessuno escluso. Per quanto possa sembrare scontata questa affermazione, si tratta della pietra angolare della nostra democrazia.
Fatta questa premessa, “Green Book” è un film ─ tratto da fatti realmente accaduti ─ di scottante attualità, anche se ambientato in un contesto storico che credevamo ormai superato.
Protagonisti assoluti della vicenda, narrata prevalentemente coi toni della commedia e una certa dose di ironia, sono un geniale e raffinato musicista e il suo improvvisato e rozzo autista, con qualche idea razzista ma dall’animo altruista. Una improbabile coppia di “stranieri” che attraversano il profondo Sud degli Stati Uniti per una serie di concerti prenatalizi, in territori in cui ancora esistono assurde e discriminatorie regole di convivenza (in)civile.
Guida turistica del viaggio è il “Libro Verde” per automobilisti “negri” che vogliono evitare spiacevoli disagi, con l’indicazione dei locali in cui le persone “di colore” sono accettate. Una vergogna stampata e venduta per circa 30 anni, ma che costituiva un aiuto per chi si spostava in determinate zone degli USA.
Come ogni “road movie”, anche questo si rivela un itinerario di formazione dei protagonisti. Durante il tragitto compiuto insieme, i due impareranno a conoscersi, comprendersi e ascoltarsi reciprocamente. A partire da nette differenze e accesi contrasti, che sfoceranno anche in momenti di alta tensione e scontro frontale, Tony e Don instaurano un rapporto che farà emergere progressivamente anche un forte sentimento di vicinanza e solidarietà, base necessaria per rispettarsi e stimarsi vicendevolmente.
In un confronto così stretto e ravvicinato, come la dimensione del viaggio richiede, ognuno ne esce cambiato, scoprendo parti di sé prima ignorate e nuovi modi di stare al mondo. La diversità funge da specchio che ci permette di guardarci dentro più a fondo e riscoprire il comun denominatore dell’umanità che ci lega agli altri. Se si  riconoscono le proprie debolezze e i propri limiti, si cresce e matura, acquisendo nuovi strumenti per l’interazione sociale e la comprensione della complessità esistenziale.
Tony, uomo interessato quasi esclusivamente ai bisogni primari e dai modi sbrigativi (oltre che maneschi), toccherà più da vicino la bellezza dell’arte e della cultura, anche come stimolo per le relazioni (per esempio, cimentandosi nella scrittura di poetiche lettere alla moglie), oltre che l’importanza della riflessione e della mediazione, invece di reagire sempre impulsivamente. Don, invece, apprezzerà la semplicità e il pragmatismo propri di Tony, così come la sua franchezza, capacità di protezione e senso dell’unità familiare.
Grazie all’alleanza e complicità che sempre più stringono strada facendo, i due faranno fronte comune contro le ingiustizie che incontreranno durante il percorso, per via del solo colore della pelle di Don. La loro presa di coscienza sarà così decisa che, nel finale, si opporranno in maniera emblematica e plateale all’ennesima vessazione camuffata da tradizione e regola sociale.
“Green Book” risulta quindi un efficace e coinvolgente inno, oltre che alla necessità dell’eguaglianza dei diritti e di una società più giusta, all’amicizia: quella vera, fisica e carnale, che nasce dall’incontro e dalla condivisione di un cammino fianco a fianco. Senza muri e senza barriere.

 

Recensione di Alessandro Cafieri tratta da “Conflitti – Rivista di ricerca e formazione
psicopedagogica” (www.cppp.it/conflitti);