Un affare di famiglia di Hirokazu Kore-eda

Giappone, 2018

121 min.

Una allegra famiglia allargata condivide la quotidianità in un piccolo e umile appartamento di periferia, sopravvivendo di espedienti. Un giorno si aggiunge anche una bambina, apparentemente abbandonata dai genitori. Ma un improvviso incidente porterà alla luce insospettati segreti…
Vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2018, il film di Kore-eda, regista giapponese con un passato da documentarista, ci riporta volentieri, come una boccata d’ossigeno, ad un cinema d’altri tempi, lontano dai ritmi frenetici e messaggi urlati del mondo contemporaneo. Si tratta di un cinema profondo, riflessivo, pacato, empatico, attento ai particolari, dalla fotografia ai dialoghi. In linea con la tradizione cinematografica nipponica d’autore (non a caso troviamo un evidente richiamo di Rashomon di Kurosawa).
A partire dalla quotidianità degli Shibata, un nucleo consapevolmente “anormale” e bizzarro, seguito anche dai servizi sociali, l’opera intende mostrare i rapporti e legami familiari nella loro più autentica essenza, senza pretese didattiche o pedagogiche, sospendendo ogni giudizio e aprendo il campo a dubbi e considerazioni circa la struttura della famiglia, tra vincoli naturali e giuridici, in un’epoca storica in cui il modello sociale tradizionale è entrato palesemente in crisi e abbiamo a che fare con nuove e molteplici configurazioni, dense di senso, significati e complessità.
Oggi ci tocca inesorabilmente constatare la fine della famiglia univocamente intesa, e riconoscere la realtà tangibile delle famiglie al plurale, tra separazioni e ricomposizioni, nella girandola di legami affettivi e sentimentali ─ con le conseguenti ricadute pratiche e materiali ─ che gli adulti decidono di allacciare, stringere, rinsaldare, sciogliere. È, in altri termini, la condizione “liquida” della società postmoderna, come ampiamente e lucidamente descritta dal compianto sociologo Zygmunt Bauman, uno dei più noti e acuti analisti della globalizzazione.
Ma il racconto di Kore-eda, più che concentrarsi sulla dissoluzione delle relazioni e l’allentamento (o scomparsa) delle reti comunitarie, con stile ironico e a tratti picaresco punta a sottolineare l’importanza, nella crescita di ogni bambino, dell’amore, cura e presenza genitoriale, della solidarietà e complicità fraterna, del senso di appartenenza e riconoscimento, della casa come nido protettivo e rifugio dalle fatiche e dai pericoli del mondo esterno.
Dietro ogni aspetto critico e discutibile delle condotte dei pittoreschi personaggi si cela l’altra faccia, il lato d’ombra che mette in discussione i nostri luoghi comuni, credenze e valutazioni morali: papà e figlio delinquono con piccoli furti per racimolare il denaro per vivere, ma, d’altro canto, le imprese sfruttano gli operai assumendoli “a giornata”, senza garanzie future e sussidi in caso di malattia o infortunio; una ragazza “vende” il proprio corpo in un locale a luci rosse, ma cerca di conoscere la storia del suo cliente abituale e comprenderne la sofferenza; la nonna sottrae
soldi ai familiari dell’ex marito, ma li usa per il sostento di tutti i suoi conviventi; la bambina accolta dalla nuova famiglia è stata “tecnicamente” rapita, ma anche sottratta ad abusi e maltrattamenti…
Nonostante le contraddizioni, la famiglia protagonista si mostra sempre unita, vicina ai bisogni affettivi e rispettosa delle esigenze di ogni membro, anche di fronte a imprevisti e avversità. Se gli adulti hanno il compito di aiutare i giovani a diventare grandi, il padre scapestrato insegna al figlio a rubare con perizia e destrezza: paradossalmente, è ravvisabile in questa attitudine una specifica intenzionalità educativa propria del ruolo genitoriale, pur se contraria alle norme sociali vigenti. Anche perché le leggi, a partire da quelle dell’economia, hanno acuito le disuguaglianze sociali e diminuito drasticamente i diritti dei lavoratori (si veda la tragicomica sequenza del licenziamento
della signora Shibata). Altra tematica portante, che attraversa tutta la vicenda, è quella della scelta, a partire dai legami, perché è proprio la facoltà e la possibilità di decidere, anche le dipendenze e gli affetti, che ci rende
pienamente liberi e autonomi. E scegliere comporta sempre l’accettazione delle conseguenze, nel bene e nel male, prima o poi, delle proprie azioni. Così come la legge e la giustizia sociale non sempre vanno a braccetto: nel clamoroso finale del film scopriremo perché.

Recensione di Alessandro Cafieri tratta da “Conflitti – Rivista di ricerca e formazione psicopedagogica” (www.cppp.it/conflitti)