Una notte di 12 anni di Alvaro Brechner

Francia, Argentina, Spagna 2018.
123 minuti.

Settembre 1973. L’Uruguay è sotto il controllo di una dittatura militare. Il movimento di guerriglia dei Tupamaros è stato schiacciato e smantellato da un anno. I suoi membri sono stati imprigionati e torturati. In una notte di autunno, nove prigionieri Tupamaro vengono portati via dalle loro celle nell’ambito di un’operazione militare segreta che durerà 12 anni. Da quel momento in poi, verranno spostati, a rotazione, in diverse caserme sparse nel Paese e assoggettati a un macabro esperimento; una nuova forma di tortura mirata ad abbattere le loro capacità di resistenza
psicologica. È interessante che a distanza di pochi giorni arrivino nelle sale cinematografiche italiane due opere che ci ricordano ciò che accadde in due Paesi dell’America Latina nella seconda metà del secolo scorso. Si tratta del documentario ”Santiago, Italia” di Nanni Moretti sul Cile e di questo film. Entrambi, seppure con modalità narrative diverse, ci ricordano ciò che accade quando una brutale dittatura in nome di un preteso ‘diritto’ cancella qualsiasi forma di trattamento umano nei confronti dei detenuti. Seguiamo i 4323 giorni di detenzione di tre dei nove guerriglieri catturati ed assistiamo ad una scientifica quanto abietta strategia finalizzata non tanto ad ottenere
informazioni (le quali con il trascorrere degli anni divengono sempre meno utili) quanto piuttosto per devastarne la psiche uccidendoli di fatto pur mantenendoli in vita. Di carcere in carcere siamo testimoni delle privazioni e umiliazioni a cui vengono sottoposti nonché alla falsa assistenza esibita nel momento in cui la Croce Rossa chiede di conoscerne le condizioni di detenzione. In questo inferno costituito da celle fatiscenti possono però essere dettate lettere d’amore per procura o si può arrivare al ridicolo di una defecazione difficile da realizzare per mancanza di un’autorizzazione superiore. Ciò che prevale però è la denuncia di un sistema di oppressione che ha cinematograficamente i tempi e i ritmi dei film che negli anni ’70 avevano il coraggio di raccontare quanto accadeva e riuscivano ad attrarre un pubblico anche numericamente considerevole. Si pensi, a titolo di esempio, al cinema di Costa Gavras a partire da ”Z – L’orgia del potere”. Quanto è accaduto di recente con ‘Sulla mia pelle’ lascia ben sperare nel fatto che, per quanto lontane nel tempo e nello spazio, queste vicende uruguaiane attirino almeno un po’ di attenzione. Scriveva Cesare Beccaria nel 1764: “Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo, o per costringerlo a confessare un delitto, o per le contraddizioni nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici, o per non so quale metafisica ed incomprensibile purgazione d’infamia, o finalmente per altri delitti di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato”. Film come questo possono forse aiutare a far riflettere anche chi, ancora oggi, vorrebbe che i metodi di tortura tornassero a non essere più considerati come reati.

 

Tratta dal sito www.mymovies.it.